L’etnia dei Dorze

Sono le nove del mattino e fa gia’ un gran caldo, ma ci sono abituato. In fondo anche nella mia Sicilia e’ così.

L’autista e’ gia’ pronto. Saliamo sulla jeep e si incomincia. Oggi l’attraversamento della Valle dell’Omo (Patrimonio dell’umanita’ dell’UNESCO) ci portera’ verso popolazioni via via sempre piu’ distanti da ogni traccia di civilta’, man mano che ci addentriamo.

In prossimita’ delle diramazioni del fiume, dove scorre per il momento poca acqua perche’ siamo nella stagione asciutta, la gente, in prossimita’ dei ponti precari che congiungono i vari tratti stradali malconnessi, fa il bagno e lava la roba, distendendola sui sassi. Si lava li’ dentro? Ma l’acqua e’ un fango tumultuoso. Eppure e’ cosi’ e per questa gente e’ normale cosi’.

Ad un tratto la strada si interrompe e c’e’ il fiume. E dove andiamo adesso? La guida rassicura. “In questa stagione l’acqua del fiume non e’ tanto alta. Ora percorreremo un tratto dentro il letto del fiume”. E’ l’unica maniera per passare. Durante la stagione delle piogge le zone dove andremo restano completamente isolate e la civilta’ resta al di la’ del fiume. Una barriera naturale per proteggere queste popolazioni dall’estinzione.

Ok, lo attraversiamo. Effettivamente la jeep e’ abbastanza alta e l’acqua non entra dagli sportelli. E’ andata, siamo dall’altra parte.

Da qui in poi la strada e’ solo terra battuta e mi immagino cosa sia durante il periodo delle piogge.

Solo fango.

So che la prima etnia che andiamo a trovare e’ quella dei Dorze, esperti tessitori e per la strada in effetti cominciamo a vedere delle stoffe stese al sole ad asciugare.

Sono molto particolari e ci sono anche dei cappelli. Tutto molto colorato.

Arriviamo nel villaggio. I Dorze prima erano guerrieri (incontreremmo nei prossimi giorni le tribu’ guerriere), ma ora si dedicano all’agricoltura ed alla tessitura a mano.

Le loro abitazioni sono enormi capanne alte anche piu’ di 10 metri a forma di cono costruite in bambu’ e foglie di falso banano. Il falso banano e’ molto diffuso da queste parti. Somiglia moltissimo alla pianta del banano ma non fa frutti commestibili.

Distillano la grappa e la birra di sorgo. In inverno tengono gli animali dentro la capanna così fanno da riscaldamento. “Quest’inverno faro’ la prova a casa mia”.

Nel giardino coltivano il falso banano (il vero nome e’ enset), cotone e caffe’. In campi piu’ lontani coltivano il sorgo. Gli uomini tessono il telaio con le dita dei piedi muovendoli dall’alto verso il basso velocemente. Un telaio costruito interamente con bambu’ e corde. Le donne filano il cotone a mano, all’antica.

Una ragazza sta preparando qualcosa con le foglie del falso banano. Ha tagliato delle foglie ed ha sfibrato la parte piu’ dura. Adesso ne ha preso un pezzo e l’ha poggiato su un sostegno di bambu’ e comincia a sfregare con un altro pezzo di bambu’.

Piano piano comincia ad uscire una specie di polpa bianca, ma sono curioso e voglio provare anch’io. Mi lascia il suo posto con un sorriso e adesso sono all’opera. Con le ginocchia sulle foglie di falso banano in poco tempo faccio un po’ di polpa ma ci vuole forza ed e’ abbastanza faticoso. Fa troppo caldo per i miei gusti e cosi’ lascio di nuovo a lei il posto per terra.

La polpa si mette poi in una buca per terra, si ricopre con altre foglie e si fa fermentare per qualche settimana.

Ma vedo che nella buca ha altri impasti gia’ pronti. Ne prende uno, lo taglia a fettine, lo sbriciola e lo impasta di nuovo con acqua. Poi lo spiana, lo mette sulle foglie di falso banano e lo cuoce sul fuoco, girandolo sui due lati.

In pochi minuti l’impasto si cuoce, le foglie di falso banano si bruciano ed il pane e’ pronto per poterlo mangiare. Ma e’ ancora troppo caldo.

La ragazza ci invita a sedere sotto una tettoia. Ci sono stoffe distese ovunque, sui sedili o che scendono giu’ dal tetto ed anche fuori e’ tutto pieno di stoffe stese al sole.

Ci sediamo attorno ad un piatto al centro del tavolo dove viene poggiato il pane. Accanto c’e’ una ciotolina con 2 salse, una rossa ed una gialla. E tante api che stanno degustando le due salse.

“Attenzione!”. La guida mi spiega che la salsa rossa e’ piccantissima, mentre con l’altra non c’e’ problema perche’ e’ miele.

Ecco perche’ tante api. Bene, adesso dobbiamo mangiare il pane intingendolo in queste due salse… evitando le api. Non e’ facile ma ho deciso di farlo. Le api non sembrano essere infastidite dai gesti dell’uomo. Anche loro tranquillamente assaggiano. Ho preso coraggio. Devo dire che il pane e’ buonissimo ed il miele decisamente squisito. Il problema viene con la salsa rossa: piccantissima. Al primo assaggio mi manca quasi il respiro. La ragazza se ne accorge e mi porge un bicchierino con qualcosa: e’ un distillato di sorgo che fanno loro stessi. E come una grappa molto aromatica e piano piano il bruciore alla gola va scomparendo. Pero’ ora ho gli occhi lucidi… e non e’ emozione.

Ma e’ ora di andar via. Ringraziamo e lasciamo il villaggio.

Per la strada facciamo una fermata per prendere un po’ d’aria, adesso il sole non e’ piu’ cosi’ forte e c’e’ una leggera ventilazione che fa piacere.

E’ un posto che sembra completamente deserto ed invece… da una zona a vegetazione alta viene fuori improvvisamente un gruppo di bambini che corre. Ci vedono e si fermano. Uno dei bambini ha una bottiglia vuota di plastica. E’ l’unico segno di un mondo che a loro non appartiene proprio.

In un attimo si organizzano e cominciano a ballare e cantare. Una delle bambine ha una voce potentissima ed intonata, un altra fa da seconda voce e tutti i bambini ballano a tempo. Tutti tranne uno, il piu’ piccolo di tutti che non riesce a saltare a tempo come gli altri. Troppo piccolo. Sono incredibili e tenerissimi. Alla fine regaliamo loro dei biscotti e delle tavolette di cioccolato. Purtroppo non abbiamo altro con noi. Ma sono contenti lo stesso e, così come sono arrivati, spariscono in un attimo tra la vegetazione.

La guida ci vede meravigliati e ci racconta che qui il senso del ritmo e della musica e’ innato in queste popolazioni. Anche il ballo fa parte della loro cultura. Fin da piccoli.

Proseguiamo finalmente per una strada asfaltata, ma a causa delle mucche che non mostrano particolare fretta, si va pianissimo. Ci dirigiamo sempre piu’ all’interno della valle.

Oggi l’etnia che abbiamo incontrato comunque non mi e’ sembrata particolarmente primitiva. In fondo mostrava una certa capacita’ nell’artigianato anche se gli strumenti a disposizione fossero abbastanza rudimentali ed autocostruiti con bambu’, zucche e materiali offerti dalla natura.

“Ma via via che ci addentreremo ed andremo verso la zona delle tribu’ guerriere non sara’ piu’ così” ci dice la guida.

Il sole sta andando via e ci fermiamo in un posto dove dormire. Anche qua una capanna col tetto di legno e paglia, ma almeno le pareti sono di pietra.

Non importa, va bene così.

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