Da alcune alture riusciamo a vedere in basso una grande distesa di vegetazione in mezzo alla quale scorre il fiume Omo, che mantiene rigogliosa l’intera vallata.
E proprio questo crea problemi tra le varie etnie: la conquista di un ritaglio di terra vicino al fiume per assicurarsi la possibilita’ di coltivare, allevare, sopravvivere.
Proprio in prossimita’ del fiume sono posizionate le etnie guerriere che difendono il proprio territorio a tutti i costi.
Oggi andiamo a trovare una di queste: i Mursi, una delle piu’ conosciute nel mondo.
Ci vogliono diverse ore di viaggio su percorsi solo in terra battuta e piuttosto accidentati. Si va molto piano ma questo consente di osservare vegetazione ed animali attorno. Un branco di scimmie ci taglia improvvisamente la strada uscendo di corsa dalla vegetazione, ma l’autista si ferma subito e non succede nulla. Pero’ ho l’impressione che ci guardino male. Forse invadiamo il loro territorio. Ci fissano per un po’, ma alla fine vanno per la loro strada.
Entrare in contatto con la tribu’ dei Mursi non sembra una cosa cosi’ facile. La guida ci dice che dobbiamo andare a prendere un ranger ed un secondo interprete, perche’ questo popolo utilizza per comunicare solo una lingua parlata soltanto da loro.
Non capiamo a cosa serva il ranger, armato di tutto punto per giunta, comunque lo prendiamo con noi sulla jeep.
A pochi passi troviamo anche il secondo interprete.
Arriviamo al villaggio ma ci fermiamo a distanza, scendono solo la guida, l’interprete ed il ranger. Ma cosa fanno? Vediamo che vanno presso un anziano attorno al quale ci sono tanti uomini armati con fucili tradizionali, ma anche automatici (mi chiedo come facciano ad averli) e lance di legno molto appuntito.
L’autista ci dice che non si puo’ entrare in contatto con loro se non c’e’ l’autorizzazione del capo del villaggio.
Faccio qualche foto di nascosto, evitando di riprendere i volti, ma ovunque saltano all’occhio le armi.
Finalmente veniamo autorizzati. Entriamo. Spettacolare! Ecco i famosi Mursi di cui avevo tante volte letto nei libri di viaggi e sentito parlare in televisione. Da tanto tempo immaginavo di poterli incontrare. E stavolta li ho veramente davanti.
Gli uomini ed i bambini sono tutti dipinti di bianco in viso e nel corpo. Portano tutti degli scialli annodati alla vita e hanno quasi sempre le lance nelle mani.
Le donne, da una certa eta’ in poi, applicano un piattelo nel labbro inferiore e nelle orecchie.
Ma non tutte, alcune hanno il labbro inferiore trafitto solo da un piccolo legnetto.
“Si, perche’ da giovani fanno un taglio ed inseriscono un piccolo pezzo di legno, poi a poco a poco lo vanno sostituendo con legnetti di diametro sempre piu’ grandi fin quando si passa ai piattelli di diametro crescente fino a dimensioni anche superiori ai 20 centimetri. E per metterli spesso occorre levare alcuni denti incisivi inferiori.
Anticamente questa usanza nasceva dal fatto che in questo modo le donne diventavano abbastanza brutte e non venivano piu’ aggredite o rapite da altre tribu’. Col tempo e’ diventata invece una caratteristica di bellezza (secondo i loro canoni estetici, naturalmente) che caratterizza l’etnia.
Quando mangiano tolgono il piattello ed il labbro diventa pendulo. Mi fa veramente impressione. Non riesco a guardarle cosi’.
Ho notato scarificazioni nel corpo degli uomini e strani rigonfiamenti a disegno sulla pelle delle donne, specialmente sui seni e sulle braccia. Ottengo le spiegazioni dalla guida: gli uomini si creano dei tagli sulle braccia per ogni nemico ucciso e cosi’ attraggono di piu’ le donne. Piu’ tagli piu’ onore e coraggio.
Le donne invece si creano dei tagli a disegno sulla pelle ponendovi sopra della cenere ancora calda. Le ferite cosi’ si infettano un po’ o comunque si rimarginano con piu’ lentezza lasciando il taglio poi rimarginato ma rigonfio. Anche questo per loro e’ segno di particolare bellezza. Gli uomini le cercheranno di piu’.
Poi esiste un modo di addobbarsi veramente particolare, frutta, zucche, pannocchie di mais, brocche, pelli e quant’altro, tutto sulla testa.
Tutti i gusti sono gusti.
Tante ragazze, che sembrano giovanissime, hanno gia’ neonati avvolti e sospesi all’interno dei loro scialli.
I bambini e gli uomini spesso sono adornati dalle zanne di facocero.
E’ un popolo semi nomade che spesso entra in conflitto con le tribu’ vicine, specialmente con gli Hamer (li incontreremo domani), anch’essi popolo guerriero. Hanno fama di essere particolarmente aggressivi, ma con noi mostrano modesti segni di intolleranza, anzi ci consentono di fare fotografie. E senza chiedere soldi in cambio. Certo, ma a cosa servono qui i soldi? Forse si, ma soltanto per ottenere le armi.
Ad un certo momento non ci consentono di stare oltre, il ranger e la guida ci fanno segno di andare. Anche interloquire con loro col doppio interprete non e’ facile, ma ho la sensazione comunque che non sembrino nemmeno gradire le domande. Raramente un sorriso sui loro volti. Pazienza!
Non so per quale motivo, ma e’ come se non fossimo stati graditi. Siamo rimasti con loro poche ore ma e’ stato interessantissimo ugualmente.
Sulla strada di ritorno incontriamo un gruppo che non so a quale etnia appartenga, pero’ voglio assolutamente scendere a fotografarli. Troppo particolari. Hanno tutti i volti decorati. Hanno una pelle scurissima. La mia proverbiale chiarezza della pelle risalta particolarmente accanto a loro. E i ragazzi hanno una strana decorazione sulla fronte con dei fiori. Non si possono non fotografare. Con qualche difficolta’ riesco a farli sistemare come dico io per fare la foto. Fatta.
Poco dopo un gruppo di ragazzi sui trampoli ci costringe ad un’altra fermata. Si, qui i trampoli possono essere particolarmente utili durante la stagione delle piogge, quando tutto si inonda. Il trucco dei ragazzi e’ ancora diverso dai precedenti, ma la Valle dell’Omo nasconde decine di etnie diverse.
Siamo stanchi, la strada e’ pesante, tortuosa ed in salita e naturalmente anche la jeep e’ stanca e comincia ad emettere fumo dal cofano.
L’autista armeggia dentro il cofano. Guardo anch’io, ma per fortuna non e’ un grosso problema. Si e’ solo sganciato un manicotto di circolazione dell’acqua di raffreddamento. Si ripara subito, meno male. Qui non ho idea di come si possa chiedere soccorso, a me il cellulare non funziona. Non c’e’ campo. Qui la tecnologia non serve tanto. Tutto e’ troppo lontano da quello a cui siano abituati.
E’ andata, riprendiamo la marcia ma ormai e’ tardi, dobbiamo arrivare alle nostre tende che ci aspettano. Insetti compresi.
Per la strada attraversiamo ancora un mercato particolarmente affollato ed anche qui la mia macchina fotografica e’ in particolare fermento e non ha nessuna voglia di stare solo a guardare.
Mi fermerei a guardare ogni cosa, ma dobbiamo andare: “Domani alla volta degli Hamer”.
Disteso nella mia tenda ripenso alla giornata. L’etnia incontrata oggi mi ha lasciato una sensazione non provata con le altre etnie. C’era una insolita ostilita’! In realta’ solo alla fine del lungo viaggio tra le etnie avro’ la possibilita’ di capire …